MANIFESTO DELLA MUSICA CATARTICA
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La musica colta, e l’arte in generale, nel corso della seconda metà del XX secolo hanno visto un forte predominio di due (meta-) estetiche, contrapposte diametralmente l’una all’altra. Queste estetiche possono essere giustamente considerate come figlie del loro tempo ed espressione dello spirito culturale di un mondo attraversato da due guerre mondiali e da totalitarismi e dogmatismi di diversa natura; riteniamo che però ormai esse siano inattuali, sterili e superate, e proponiamo che la musica e l’arte si aprano a nuove prospettive ed intraprendano nuovi cammini.
La prima (meta-) estetica è espressione di un’arte che contesta una società ed una cultura che non approva, di cui non condivide gli ideali e che vuole smantellare e rinnovare. Di conseguenza, il suo tratto più caratteristico è individuabile in un atteggiamento contestatario, decostruzionista e forzatamente innovativo. La classica ricerca del “bello” è stata messa in secondo piano rispetto a queste istanze, portando alla perdita di criteri per definire cos’è arte e cosa non lo è, alla realizzazione di opere sgradevoli e poco comprensibili, ed all’alienazione dell’arte dalla società; in musica, tale arte si è alienata anche dalla gran parte dei musicisti. Il risultato percettivo ed estetico che scaturisce da questa concezione è il malessere, metafora del malessere di quest’arte nei confronti della società. Definiamo pertanto questa estetica come estetica del malessere. Essa è diventata la cifra dell’accademia ed ha creato un’egemonia che decide autarchicamente e autoreferenzialmente quale debba essere la corrente artistica valida, agendo in maniera sistematica contro le correnti “non allineate” che non seguono i loro dogmi. In musica, l’estetica del malessere ha trovato espressione principalmente attraverso la (meta-) tecnica compositiva della atonalità estrema decostruzionista. Atonalità, in quanto fondata sull’opposizione alla tonalità tradizionale (basata sulle scale tradizionali e sulla gerarchia tonale). Estrema e decostruzionista, in quanto porta alle estreme conseguenze questo rigetto: attraverso le diverse tecniche specifiche avvicendatesi nel corso della seconda metà del XX secolo (dodecafonia, serialismo, alea, rumorismo, musica microintervallare, spettralismo…) non solo ha rifiutato le scale tradizionali e la gerarchia tonale, ma ha decostruito anche tutti gli altri elementi musicali (ritmo, armonia, melodia, timbro, temperamento…).
Il secondo punto di vista estetico può essere visto come una reazione estrema all’estetica precedente. È un’arte che non critica né contesta la società, ma che in qualche modo desidera ristabilire una relazione. Eppure lo fa placandolo, passando dall’estrema critica di prima a un altro approccio estremo di negare che ci sia qualche problema e, soprattutto, identificando la “società” con un “vasto pubblico”. Anche qui i criteri per definire cos’è e cosa non è andata persa: le uniche cose che rimangono sono il successo commerciale e l’apprezzamento di un vasto pubblico. Il risultato percettivo ed estetico è quello della musica piacevole, rilassante, semplice e comprensibile, ma banale e ingenua; altrettanto banale e ingenuo è l’atteggiamento di coloro che nell’arte cercano solo piacere, evasione e fuga dalla realtà. Quindi definiamo questa posizione estetica come l’estetica della banalità. È il segno distintivo dell’arte populista e commerciale (se possiamo chiamarla “arte”) e ha creato un generale abbassamento del gusto artistico verso i modelli promossi dai media e dai poteri commerciali. Nella musica, l’estetica della banalità si è espressa principalmente attraverso la (meta-) tecnica della tonalità diatonica tradizionale: le varie correnti compositive specifiche tipiche dell’estetica della banalità (neo-romanticismo, neo-tonalità, nuova semplicità, minimalismo, musica ambientale , la musica new age …) non hanno fatto altro che riportare la vecchia tonalità, diluendola in gran parte in pallide versioni diatoniche.
Ora ci troviamo in una situazione dialettica in stile hegeliano: l’estetica del malessere e l’estetica della banalità sono una tesi e un’antitesi priva di forza in sé: sono obsolete, sterili e superate. Intendiamo superare questa situazione con una nuova posizione, l’estetica della catarsi, che prende i lati positivi dei due approcci estetici, conciliando la ricerca intellettuale, le critiche e la complessità di una parte, con l’appello e la comprensibilità di l’altro. Questa posizione estetica è più adatta delle altre ai problemi della cultura e della società odierna: invece di criticarle (malessere) o eluderle (banalità), la nuova posizione può essere definita come “critica costruttiva”. Nella musica, suggeriamo di cercare nuove tecniche compositive, che possano offrire un’alternativa sia all’estrema decongruzionismo dell’atonalità sia alla tonalità tradizionale (non solo alla tonalità diatonica), e che può creare, anche qui, una nuova sintesi; un primo possibile esempio di tecnica di questo tipo è la modalità pan. Insieme, l’estetica della catarsi e le tecniche appropriate daranno vita alla nuova musica catartica. Il termine “catarsi” (suggerito dal compositore tedesco Martin Münch) si riferisce all’idea (aristotelica e nietzscheana) della funzione catartica della musica e sottolinea l’idea di liberazione e purificazione dall’estetica del malessere e della banalità.
Versione: 27 aprile 2014